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MASTER AND COMMANDER
(MASTER AND COMMANDER : THE FAR SIDE OF THE WORLD)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 5 gennaio 2004
 
di Peter Weir, con Russell Crowe, Paul Bettany, Edward Woodall, James D'Arcy, Chris Larkin (Stati Uniti, 2003)
 
Quasi ce n'eravamo dimenticati. Ma, prima di diventare il regista di alcuni dei film più brillanti e fortunati della Hollywood che ancora si affidava all'intelligenza piuttosto che agli effetti digitali (UN ANNO VISSUTO PERICOLOSAMENTE, WITNESS, L'ATTIMO FUGGENTE), Peter Weir era nato australiano. Figlio di una cultura che si è sempre nutrita del contrasto fra le esigenze della ragione e quelle della fuga liberatoria nell'ordine naturale; che, in un esordio come quello di PICNIC AT HANGING ROCK, traduceva in immagini il passaggio prezioso che dal degrado materialistico conduce al rifugio nel fantastico e nel metafisico.

Di quell'arte del mistero, di quel modo raffinato di ripeterci che la fuga nella natura e nel soprannaturale è privilegio di chi detiene il segno della purezza, Peter Weir se ne è ricordato cinque anni dopo aver girato un film intelligente e visionario come THE TRUMAN SHOW. Poiché sono tutte queste le qualità che ritroviamo in un film dai presupposti esclusivamente spettacolari e di facile consumo come MASTER AND COMMANDER.

Certo, la storia, ispirata dai 20 volumi della gigantesca saga marinaresca dello scrittore britannico Patrick O'Brian, è quella di una fregata della Royal Navy che, in epoca napoleonica di guerre con la Francia (anche se nel libro si parla di America, ma la nave, attualità oblige, è diventata francese...) insegue un vascello fantasma; oltre il Capo Horn, fino ai confini delle mitiche Galapagos. Ma, anche e soprattutto, la descrizione di una serie di conflitti. Fra il senso di un dovere tutto militare, e l'ostinazione in una sfida all'ignoto, in una fuga che si fa sempre più spirituale e metafisica da parte del capitano della nave (interpretato con l'ormai notevole adeguatezza fisica e psicologica da Russell Crowe). O, ancora, quelli tra l''assoluto padrone a bordo il medico, ufficiale in seconda: attento ad un equilibrio fra progresso civico e rispetto della natura, appassionato di filosofia e di scienze naturali. Che permettono a Weir, memore dei suoi trascorsi nelle dimensioni del fantastico, di filmare in un sogno utopistico la natura incontaminata; la flora e la fauna delle Galapagos in chiave delirante.

Ragione e natura, materia e spiritualità: tutto in questo film di grande budget che avrebbe potuto rispondere soltanto ai requisiti del genere, è costruito su queste opposizioni affascinanti. Da un lato, una ricerca estrema e raffinata di autenticità e realismo. Mai, e con tale cura nella scelta degli oggetti, dei costumi, delle scenografie, i dettagli e l'atmosfera di un viaggio sui mari di quell'epoca erano stati tradotti su uno schermo con tanta esigenza di verità (paradossalmente, ma non poi cosi tanto, in un film girato in studio!), di rifiuto del folcloristico. Ma raramente (se non ovviamente in letteratura, nella mitica ricerca della balena bianca del Moby Dick di Melville, o nei racconti di Conrad; più che nei personaggi degli Douglas Fairbanks e Errol Flynn della tradizione cinematografica) l'ossessione tutta materiale e fisica di un inseguimento si era tradotta in una assai più esaltante e poetica ricerca (o nel rifugio) in ideali; trascendenti, metafisici o divini. Come preferite.


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